Cara Sveta, l"articolo è uscito. I giornali sui quali sono stati pubblicati tirano 400.000 copie, che per l"Italia è una discreta tiratura media. Lei ha fatto sentire la sua voce a molti italiani. Grazie. Ora girerò questo articolo per Internet.
Un abbraccio, Stefano
Uno squarcio sulla guerra di Lorenzo Bianchi
Il Resto del Carlino / La Nazione / Il Giorno, 19 agosto 2008
Gli orrori del conflitto, nella loro spoglia crudezza, vengono direttamente dal campo e da una osseta del sud, Svetlana Kozaeva, 45 anni, originaria di Tskhinvali, laureata in lettere all’Università di Mosca, poliglotta, grande appassionata dell’Italia. “Con mio fratello Ruslan, 43 anni, commerciante di prodotti alimentari, siamo arrivati in auto a Tskhinvali alle 17 circa dell’undici agosto. Avevamo già visto tre cadaveri abbandonati lungo la strada. Sapevamo che nell’attacco erano morti mio cugino Dimitri, 40 anni, e mia zia Anna Zaseeva, di 73. Dall’alto ci si è parata davanti agli occhi una città fantasma, un mare di macerie e di palazzi distrutti. Ho visto mio fratello piangere, non era mai successo. La prima immagine che mi è rimasta scolpita negli occhi è quella di una carcassa di auto, consumata dal fuoco al punto che non si riusciva più a leggere la targa. Vicino c’erano quattro corpi carbonizzati, due erano piccolissimi”. Svetlana e Ruslan raggiungono la casa della zia. Volevo partecipare ai funerali, ma il cimitero era completamente distrutto. L’hanno seppellita nel cortile. Come molti
altri. Qualcuno, più fortunato, è finito nel giardino di casa. Mia nipote Elina, 26 anni, mi ha raccontato che si erano nascosti in cantina in dieci. Sono sopravvissute solo sei persone. L’attacco iniziale è durato 24 ore, senza un minuto di pausa. I carriarmati georgiani passavano da una casa all’altra e sparavano uno, due o tre colpi in direzione degli scantinati. Sapevano che lì era rintanato chi non era riuscito a fuggire, bimbi, donne, anziani. Il rifugio di mia zia e di mia nipote non è stato risparmiato. Sono rimasti chiusi nel sotterraneo per tre giorni e per tre notti, vegliando i quattro cadaveri che
cominciavano a puzzare. Fuori c’era un gran caldo, fra 32 e 34 gradi. Non avevano né luce, né acqua, né cibo. L’unica compagnia era una tribù di topi. Ma erano terrorizzati dall’idea di mettere fuori il naso”. Perché? “Un’anziana signora della quale ricordo solo il nome, Maria, stava scappando con i suoi due nipotini. Un tank georgiano li ha raggiunti e schiacciati. Capisce? Non si è preso neppure la briga disparargli. Mi hanno raccontato, che a Muguti, a 10 chilometri dalla
capitale, la popolazione si era rifugiata nella piccola chiesa. Due carri georgiani hanno aperto il fuoco. I morti sono stati 12”.
Svetlana è tornata a Mosca alle 14 del 13 agosto. Il marito è ancora nella capitale dell’Ossezia del sud. “Le cantine – rabbrividisce - sono piene di cadaveri. E’ stata una pulizia etnica. I georgiani sono
arrivati a livelli che non hanno toccato neppure i tedeschi nella seconda guerra mondiale. La Cnn e la Bbc trasmettono immagini di Tskhinvali e dicono che vengono da Gori. Ho riconosciuto con i miei occhi un falso. In un servizio da Gori c’era una strada della mia città di origine, quella intitolata agli eroi, la via “Geroev”. Perché i media occidentali giustificano il presidente georgiano Mikhail Saakashvili e il suo regime criminale?”.